Ciò che è vuoto diventerà pieno
(Lao-Tzù)
Nel lavoro di SANAA le tematiche, che emergono con chiarezza e ne determinano il valore, sono due:
la prima riguarda la composizione dei volumi e il modo in cui essi vengono trattati: la forma percepita in relazione al contesto ristretto e alla città;
la seconda riguarda il controllo degli spazi interni in rapporto con il programma assegnato: la distribuzione delle funzioni e la relazione tra gli ambienti.
I volumi sono eterei, sfuggenti, sfumati. L’insieme è aereo, spirituale, delicato al limite dell’incorporeo. Lo sguardo scivola, da un punto all’altro della superficie increspata e inconsistente del pallido velo di rivestimento, senza incontrare appoggi. Neppure la soglia di ingresso si distingue dall'insieme. La forza dell’architettura sta nella eleganza femminile del suo mostrarsi debole, fragile, delicata. Per spiegare provo a fare un paragone tra opposti, con l’edificio di Parigi della Fondation Louis Vuitton progettato dall'arch. Frank O. Gehry all'interno del parco del Bois de Boulogne. A Parigi il visitatore può scattare infinite fotografie diverse, con scenari che cambiano ad ogni passo offrendo inquadrature sempre diverse. A Milano l’immagine della Bocconi di SANAA rimane identica da qualsiasi punto di vista: la fotografia è sempre la stessa, comunque ci si muova. Nel primo caso si tratta di un’idea di monumentalità contemporanea, che mira a far mostra di sé, del committente, dell’architetto. Nel secondo caso l’opposto. In realtà non è vero che l’immagine non cambia: il cambiamento avviene però con lentezza, assieme al colore del cielo quando il giorno diventa sera e poi notte, con il variare delle condizioni atmosferiche, con le stagioni. La trasparenza dell’involucro funziona come un filtro che restituisce all'occhio l’architettura nel suo contesto, con influenza reciproca dell’uno sull'altra.
Per contro si percepiscono con limpidezza i vuoti: le corti che si formano tra le superfici vetrate delle facciate dall'andamento sinuoso, che oscillando si incontrano e si allontanano. Questi spazi, ricavati per differenza dai pieni dei volumi edificati, assumono un disegno e una proporzione che ne valorizza l’essenza. L’equilibrio che si instaura tra pieni e vuoti suscita coinvolgimento emotivo. L’azione “svuotare” introduce il suo opposto “riempire”: l’atto di svuotare di materia incoraggia l’osservatore a “riempire” di pensiero, riflessione, intelligenza, immaginazione, creatività, spirito. La suggestione viene poi accentuata dalle superfici vetrate che, riflettendo luci e figure, fanno apparire le corti popolate di immagini rifratte, spirito in movimento. Il significato estetico e filosofico dello spazio vuoto, concetto fondamentale della cultura orientale, così trova una nuova modalità espressiva che, con formidabile leggerezza, incontra Milano e si confronta con le corti dell’edilizia diffusa milanese. Mi piace ricordare a questo proposito le esperienze sul rapporto tra pieno e vuoto nel design e nelle sculture dell’arch. Angelo Mangiarotti, sperimentazioni che, forse per i limiti della tecnologia, non sono riuscite a concretizzarsi in architettura, con i risultati ora raggiunti da SANAA.
L’”assenza” caratterizza gli ambienti interni. Pur nella complessità, che la destinazione d’uso dell’intervento presuppone, l’edificio minimizza il suo sistema strutturale, che si manifesta appena attraverso esili cilindri bianchi che si infilano nel solaio grigio in cemento a vista, e cela ogni apparato impiantistico. Tutta la tecnologia presente è occultata: c’è ma non fa mostra di sé. Nel risultato appare evidente il lavoro meticoloso che l’architetto Francesca Singer e la sua giovane squadra, hanno messo in campo per coordinare la fase esecutiva delle opere, la progettazione specialistica, le imprese, gli installatori, e realizzare materialmente le intenzioni del progetto. Occorre segnalare l’efficienza e l’efficacia del ruolo della direzione artistica nel suo compito di interprete e garante dei principi informatori del progetto, nel suo svolgersi in collaborazione, ma anche in contrapposizione, con gli attori del processo edilizio, alla luce delle risorse economiche e tecniche disponibili e degli interessi di ognuno.
Lo spazio interno è continuo, circolare, senza soluzione di continuità. Non ci sono punti di riferimento: è anche difficile orientarsi. Lungo i percorsi le funzioni specifiche si distribuiscono differenziandosi per tipo: le aule, gli uffici, le sale. Le aule in particolare assumono la particolare conformazione richiesta dal programma della SDA Bocconi School of Management, a emiciclo, assecondando con naturalezza le linee prevalenti dell’edificio. L’unico elemento che appare lezioso, ma che forse asseconda con vezzosa ironia il tenore femminile dell’insieme, è il sistema di controsoffittatura che, con una sagoma “nuvolosa”, svolge la funzione di mascherare l’impiantistica, ospitare l’illuminazione e controllare il riverbero acustico degli ambienti.
La nuova sede dell’Università Bocconi di Milano dunque, attraverso i principi che informano la costruzione dell’insieme unitario e organico di edifici che compongono l’insediamento, conferma la sua capacità di ridefinire il concetto di campus come elemento integrante, non invasivo e contemporaneamente aperto, fisicamente e visivamente, del tessuto urbano, così come previsto dalla giuria, presieduta da Sir Peter Cook che, nel concorso del 2012, ha individuato il progetto vincitore.
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